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Alcuni oggetti conservati nel Museo Diffuso della Cultura Contadina di Velva – e, soprattutto, molte delle tradizioni e dei racconti appartenenti alla cultura popolare locale ad essi riconducibili – fanno parte di quel settore genericamente chiamato “folclore”, terreno dai confini tutt’ora piuttosto incerti. Potremmo dire che il folclore è una forma di cultura popolare per certi aspetti segno di contraddizione rispetto alla cultura dominante. Potrebbe essere considerato come la concezione del mondo e della vita, in gran parte implicita, di determinati strati della società (nel nostro caso prevalentemente quello contadino) in contrapposizione con le conoscenze del mondo “ufficiali” che si sono succedute nello sviluppo storico, elaborate dalle classi dominanti, e giunte alle classi subalterne per “caduta”, quali elementi residuali, contaminati e fossilizzati.

Tuttavia il folclore non si può ridurre soltanto a un deposito inerte di sopravivenze: esso è anche in grado di esprimere una serie di innovazioni determinate spontaneamente da forme e condizioni di vita in sviluppo che sono in contraddizione, o semplicemente diverse, dalla morale degli strati dirigenti; i dialetti, le storie, le leggende, i saperi locali appaiono, spesso, come forme creative di una cultura viva e per certi aspetti peculiare e distintiva. Il folclore non va quindi banalmente ridotto al pittoresco e al primitivo, astraendolo dal contesto di vita reale e della concreta determinazione sociale che lo contraddistingue. Sotto questo aspetto il folclore va ricondotto alla dignità di formazione culturale, sottraendolo a quelle caratteristiche di curiosità erudita che nel migliore dei casi hanno segnato la storia dei suoi studi.

E’ questo il concetto a cui fa riferimento l’interpretazione del termine folclore per quanto attiene alla comunicazione adottata dal Museo Diffuso della Cultura Contadina di Velva.